La Valutazione dei Rischi negli ambienti di lavoro: i neuroni del senso critico per abbassare il fattore R di Alessandro Zabotto.

Dopo diverse migliaia di ore dedicate alla docenza per la Prevenzione nei luoghi di Lavoro con imprenditori, dirigenti e lavoratori, mi chiedo che cosa effettivamente possa stimolare la sensibilità delle persone impegnate giornalmente nei rispettivi luoghi di lavoro. Nella quotidianità siamo attirati nella valutazione effettiva del rischio quando le cronache solleticano la curiosità per un grave incidente avvenuto in qualche azienda: la morte di un lavoratore dopo anni di lavoro o i danni subiti per un grave infortunio, lasciano impressioni della durata di qualche minuto o qualche ora per i più fortunati, semprechè non si appartenga alla cerchia di persone collegate proprio a quell’evento infausto; allora il vuoto provocato dall’improvvisa assenza dello scomparso, viene riempito da tristezza e rimpianto conditi da considerazioni legate più, ragionevolmente, alla famiglia della vittima e alle inevitabili difficoltà a cui andrà incontro. Approfondimenti e considerazioni tecniche sulle motivazioni dell’accaduto sono riservate ai tecnici: datori di lavoro, dirigenti e capi di vario livello cercano di liberarsi in fretta della palla della responsabilità messa in campo da giudici e magistrati chiamati ad arbitrare una partita dove non ci saranno vincitori. La macchina della giustizia penale cerca e trova il reo.

Durante le ore di formazione cerco di impregnare le menti dei lavoratori attraverso giochi e simulazioni che possano dare qualche impressione positiva alla valutazione dei rischi, evitando di ripercorrere sentimenti di angoscia attraverso filmati o immagini di scene post incidenti mortali. Gli esiti dell’applicazione di questo metodo sono variabili: alcuni accolgono positivamente questa modalità interattiva, altri accettano di collaborare mossi più dalla convinzione che il fare qualcosa è sicuramente più interessante che l’ascoltare un docente, altri ancora non colgono affatto lo spirito dello “scambio” tra i vari partecipanti all’aula.

Un recente articolo di Olivier Houdè parla dei neuroni del senso critico. Mi sono chiesto se e come tali neuroni “centrassero” all’interno delle dinamiche dell’apprendimento durante una lezione per la Prevenzione nei luoghi di lavoro. Certamente è una questione riguardante la capacità delle persone di entrare letteralmente all’interno dei problemi, senza accontentarsi di osservarli dall’esterno. I lavoratori arrivano alle giornate formative obbligatorie con una serie di convinzioni o pregiudizi duri da sradicare, soprattutto se non si è abituati ad entrare nel cuore dei problemi, ad osservarli da vicino. Siamo vittime dei bias congnitivi, delle forme di pre-giudizio che snelliscono i nostri percorsi mentali seguendo comodamente la medesima strada. Secondo Houdè si potrebbe parlare di trappole del cervello, ovvero di schemi di pensiero assodati sui quali tentiamo di risolvere i problemi, spesso inadatti a fronte di una realtà in continua trasformazione. In altri termini sarebbe il pensiero euristico ad avere la meglio su quello algoritmico, il falso ragionamento automatico da un ragionamento secondo criteri e schemi frutto di attenta osservazione e senso critico. Tecniche di Risonanza Magnetica Funzionale o fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging) dimostrano come nel caso di pensiero euristico si attivi il solco intraparietale laterale, mentre a fronte della volontà di affrancarsi da falso ragionamento, si attiverebbe prima la Corteccia Prefrontale Inferiore CPI poi, e conseguentemente alla prima, il Solco Intraparietale Ventrale SIV. Dunque dei neuroni situati nell’area prefrontale sarebbero in grado di disattivare una precisa area del cervello ed attivarne un’altra contigua attraverso “cavi” neuronali molto lunghi (assoni). “Sono proprio questi circuiti neuronali inibitori che bisogna esercitare, sull’intero cervello, per imparare a resistere alle tentazioni del ragionamento euristico semplice e immediato”, afferma ancora Houdè.

A questo punto le azioni del docente dovrebbero tenere conto di questa caratteristica innata del cervello e studiare strategie didattiche atte allo stimolo continuo di nuove aree cerebrali affinchè si generi un potenziale apprendimento. Le esperienze d’aula difficile, quelle meno stimolanti, piatte per interazione con il gruppo, dovrebbero essere lo stimolo più grande per un buon formatore. Se almeno uno di quel gruppo destasse il Solco Intraparietale Ventrale SIV allora sarebbe un successo. Di sicuro il formatore indomito di fronte a forze leonine post prandiali o morfeiche, riuscirebbe nell’intento di attivare il proprio SIV!

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