Con il 21,4 per cento della popolazione sopra i 65 anni, l’Italia è lo Stato più vecchio d’Europa. Gli anziani con limitazioni funzionali gravi sono oltre 2,5 milioni (Istat), ma il nostro è l’unico tra i grandi Paesi a non aver riformato il sistema di servizi pubblici rivolti agli anziani non autosufficienti.
Colpisce la notizia riportata sul quotidiano on line La Stampa, colpisce come una doccia gelata nel torpore di una giornata estiva.
Stiamo invecchiando e la questione andrebbe approfondita sotto molteplici aspetti, partendo dall’istituzione di politiche governative attive nella messa in atto di soluzioni trasversali sul piano sociale, della sanità, della previdenza, dell’educazione e del mondo del lavoro.
Già, il lavoro, così presente nella vita di ognuno tanto da determinare gioie e dolori diffusi; il progressivo aumento della soglia di accesso temporale all’età pensionabile cambia sottilmente ma in maniera irrevocabile la dinamica legata alla presenza dei lavoratori in prossimità di pensione. Oggi è facile trovare persone che cavalcano i 70 con baldanza, indossando ancora le proprie vesti professionali. Solitamente liberi professionisti, istruzione e reddito elevato, passione per l’attività scelta qualche anno prima. E chi non vorrebbe?
Molto più complicato immaginare professioni a più elevato carico psico-fisico. I settori edili, i settori produttivi in genere piuttosto che i settori delle professioni d’aiuto. Solo alcuni riferimenti per un più variegato panorama delle professioni a grosso carico fisico e psicologico.
I luoghi di lavoro non sono ancora progettati per accogliere un trend di popolazione con queste caratteristiche né lo sono le organizzazioni nel determinare scelte orientate ad uno sviluppo positivo del fenomeno.
“Azienda del settore metalmeccanico ricerca un addetto alla produzione anche senza esperienza età preferibile + 65 anni”.
Quando leggeremo questi annunci vorrà dire che qualcosa è cambiato. Un annuncio per la ricerca di lavoratori che oggi sa di paradossale, impossibile, distantissimo dal reale; dovrebbe invece nutrire la fiammella delle possibili occasioni.
La ricerca scientifica sull’Age Management mira ad approfondire gli aspetti profittevoli nell’avere persone anziane in azienda, come ad esempio il non perdere il bagaglio di competenze del personale senior. La conoscenza tacita di questi lavoratori è di sicuro supporto alla qualità del processo di lavoro e risorsa per la gestione di imprevisti, richieste particolari, base per progetti innovativi. Tuttavia è innegabile che un lavoratore di 40 anni ha capacità, bisogni, valori e attitudini molto diverse da quelle di una persona di 65.
La ricerca in questo campo mira ad incrementare le azioni per la valorizzazione degli aspetti legati all’età attraverso la formazione specifica, un adeguato lavoro di job design che valorizzi gli aspetti legati all’età, la creazione di team di lavoro intergenerazionali, programmi di lavoro part time o comunque forme di lavoro flessibile.
Tutte ottime soluzioni in prospettiva futura. Il presente tuttavia ci mostra anche il lato oscuro delle malattie legate all’invecchiamento. Gli anziani con limitazioni funzionali gravi sono oltre 2,5 milioni.
La domanda, semplice e forse un po’ ingenua, è quando queste persone, questi anziani, questi ex lavoratori, possono aver manifestato i primi sintomi di malattie legate, ad esempio, al decadimento cognitivo.
E allora le aziende e i datori di lavoro, i medici del lavoro, gli esperti aziendali che si occupano di prevenzione, potrebbero fare qualcosa? Se di prevenzione si parla e ci si occupa, indagare su possibili manifestazioni di malattie come l’Alzheimer in età non sospetta ovvero nel periodo lavorativo, potrebbe dare maggiori possibilità all’attenuarsi dei sintomi?
E’ innegabile che gestire anziani con malattie invalidanti comportano un aggravio per ogni famiglia, soprattutto per l’impreparazione culturale ed emotiva a questi eventi.
Avere oltre i 50 anni in azienda non è semplice soprattutto in ragione di una cultura della giovinezza a tutti i costi, quantomeno deviante rispetto la ricchezza che l’esperienza e la conoscenza tacita può portare attraverso i senior.
Gestione della malattia in atto e sostegno dei famigliari (ricordiamolo spesso ancora lavoratori attivi) con politiche di sostegno agli imprenditori attivi nell’agevolare i possibili conflitti famiglia-lavoro; gestione di sistemi di prevenzione in grado di segnalare e intervenire su eventuali primissimi sintomi legati alla manifestazione di possibili malattie legate all’invecchiamento. Due settori di intervento per la ricerca del benessere lavorativo dei prossimi anni e per una reale prevenzione nei luoghi di lavoro.
Dunque, diamo valore all’età, alla ritrovata saggezza, all’invecchiare con il piacere di farlo e per essere di esempio positivo per i giovani e i meno giovani.
Diamo valore a una cultura dove il rispetto per l’età non è forma esteriore ma opportunità di crescita e maturazione per tutti.